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Aspettando Atene - 1. L'Italia, la sinistra e l'euro. Intervista con Sergio Cesaratto.
Aspettando Atene - 1. L'Italia, la sinistra e l'euro. Intervista con Sergio Cesaratto.
calendar_today 19/01/2015 00:00
Le elezioni in Grecia di domenica prossima saranno un referendum sulle politiche di austerità di questi ultimi anni in Europa. I sondaggi – a pochi giorni dal voto - danno ancora in vantaggio il partito di sinistra Syriza, di Alexis Tsipras, che di quelle politiche è da sempre un oppositore convinto. “Siamo come una cavia”, ha detto nei giorni scorsi Dimitris Liakos, uno dei consiglieri economici di Tsipras. Al di là dell'espressione poco felice, l'esperimento politico che potrebbe iniziare in Grecia è quello di un'alternativa di sinistra alle politiche di austerità, un'alternativa in in chiave “europeista”. Per quanto raccontato finora, Tsipras non vuole l'uscita della Grecia dall'euro. Syriza, il suo partito, è lontano dalla retorica anti-europea che, invece, viene brandita dalla destra: in Francia e Gran Bretagna da Le Pen e Farage, in Germania e in Italia da Pegida e Salvini. In Italia, contemporaneamente alla lunga campagna elettorale greca, si è aperto a sinistra un dibattito sull'euro che coinvolge politici ed economisti: bisogna uscire o restare nella moneta unica? Come restarci contrastando l'austerità? Oppure, quali passi vanno compiuti per liberarsi dei vincoli della moneta sovranazionale? Memos dedicherà le puntate di questa settimana alla discussione in corso. L'ospite di oggi è Sergio Cesaratto, economista dell'università di Siena. «Le mie simpatie – dice - vanno con le posizioni più radicali, con chi dice “meglio fuori dall'euro”. Io non credo, come pensano quelli della lista Tsipras, che quest'Europa cambierà mai». Partendo da questo assunto Cesaratto spiega l'insostenibilità non solo dell'euro, ma di qualunque progetto di unione monetaria. «Un'unione monetaria – sostiene l'economista – per di più tra paesi disomogenei, impedisce la svalutazione della moneta e blocca di fatto il conflitto sociale e distributivo tra salari e profitti. In questo modo causa un vulnus alla democrazia».